Entro le 23.59 del 02.12.2024
Scopri come abbiamo abbracciato l’addestramento consapevole e posto le basi per la creazione di Equestri.
Alle elementari ero l’unico della mia classe che faceva equitazione invece che giocare a calcio.
Ancora oggi mi ritengo una sorta di strano melting pot di passioni e professioni.
Lavoro con cavalli e cavalieri in Equestri, sono manager in una multinazionale, sono istruttore di arrampicata sportiva, nel tempo libero medito e pratico Taiji da diversi anni.
Non sono nato in mezzo ai cavalli, ma ci sono finito presto.
Monta inglese per molti anni, in un maneggio in cui però, con il senno di poi, facevo poco più che girare in carosello insieme agli altri e dove ho visto cavalli trattati in un modo per cui oggi userei il termine abuso.
Ma da bambino, quando inorridisci di fronte a certe situazioni mentre gli adulti intorno non battono ciglio, passi tu per quello strano.
Il primo vero cavallo, nel senso che gli era stato permesso di rimanere cavallo senza che la sua volontà venisse spezzata, l’ho montato a 10 anni.
Fu un’esperienza alquanto traumatica, non riuscivo nemmeno a farlo andare dritto, farlo partire al trotto sembrava fantascienza!
Ricordo che mi sono messo a piangere, d’altronde ero solo un bambino.
Non capivo per quale motivo non rispondesse alle mie richieste.
Da quel momento però è scattato qualcosa dentro di me.
Ho iniziato a guardare i cavalli con occhi completamente diversi.
Ho iniziato ad osservare addestratori e cavalieri e il loro modo di approcciarsi ai cavalli con occhio analitico.
Ho trascorso intere giornate in un maneggio privato di un amico di famiglia che addestrava cavalli da reining: rifacevo i box, spostavo balle di fieno, riempivo bidoni d’acqua per i cavalli in paddock e in cambio potevo rubare il mestiere osservando fino ad arrivare lavorare con i puledri all’inizio dell’addestramento diventando il loro primo cavaliere.
E così ho fatto per anni.
Oggi posso dire che è stato lì che ho mosso i miei primi passi verso la creazione di una relazione vera e profonda con i cavalli.
Continuavo a picchiettare la penna sul tavolo mentre il mio top manager ci presentava la strategia del secondo trimestre.
Ero distratto, guardavo continuamente fuori dalla finestra sperando di ritrovarmi per magia fuori da quell’ufficio, fuori da quella riunione, fuori da tutto.
Mi immaginavo di passeggiare tra le Alpi o lungo le sponde del Danubio.
Mentre i minuti scorrevano lenti, il mio sguardo faceva ping pong tra la finestra e il mio manager.
Ad un certo punto mi soffermai sul suo sguardo. Era spento.
Metteva energia nel suo discorso ma non c’era nessuna scintilla nei suoi occhi.
Mi sembrò come se la parte più profonda di lui non fosse lì perché ne aveva perso il contatto.
Fu in quel momento che mi svegliai.
In quell’istante realizzai che io non volevo diventare così.
Dopo una laurea in Economia, un master alla Bocconi e anni di carriera in una multinazionale, mi ero appena reso conto che volevo scendere dalla giostra, cambiare direzione.
“Vorrei prendere un podere sull’Appennino e lavorare insieme ai cavalli tra prati e boschi”.
Lo so, si trattava di un cambio radicale, non solo un nuovo lavoro ma una nuova vita.
Una vita in cui alla fine della giornata le mie scarpe sarebbero state sporche di fango e i capelli pieni di polvere, ma i miei occhi avrebbero brillato davvero.
Il sabato pomeriggio di quella stessa settimana, appena tornato dal viaggio di lavoro, mi sono messo in macchina alla ricerca di un posto in cui poter tornare nel mondo dei cavalli.
Ma non volevo un maneggio qualsiasi.
Cercavo un posto dove i cavalli venissero trattati con rispetto, un luogo dove la relazione tra cavallo e cavaliere fosse al primo posto.
E la mia ricerca si è fermata al primo maneggio in cui ho messo piede: Sherwood.
Ad accogliermi al di là dello steccato c’era una ragazza con un sacco di capelli ricci e un sorriso contagioso…
Anche quel sabato era stata una giornata particolarmente impegnativa a Sherwood.
Negli ultimi mesi aveva regnato il caos, non solo per il super lavoro in maneggio ma anche perché sentivo di dover cambiare qualcosa nella mia vita equestre.
Davo lezioni in maneggio ed erano arrivati diversi nuovi cavalli e così mi ero ritrovata con ben 30 cavalli da gestire, a cui dar da mangiare, e altrettanti box e paddock da pulire.
Beh, classica routine di chi lavora in un maneggio, penserai.
Certo, se non fosse per un piccolo particolare: ero incinta di 6 mesi!
Mio marito aveva appena cominciato a fare gli straordinari al lavoro e non riusciva più a darmi una mano.
Gli altri due istruttori con cui collaboravo avevano un approccio troppo diverso dal mio, poco consapevole.
Così, nonostante la stanchezza, preferivo fare tutto da sola.
Io sono cresciuta in mezzo ai cavalli, ed è anche per questo che li ho sempre amati.
Ciononostante anche a me è capitato di vivere il famoso “blocco del cavaliere”, quando avevo circa 12 anni.
Per non farmi perdere la passione, i miei genitori pensarono di regalarmi un cavallo tutto mio.
Ricordo che mi portarono in giro per maneggi e vidi circa 30 cavalli.
Ma con nessuno di questi cavalli era scattata la scintilla…
Fin quando non ho incontrato Jascha, una purosangue araba che non voleva farsi montare.
Il suo carattere complicato, unito alla mia testardaggine, è stato ciò che mi ha acceso e che soprattutto mi ha fatto capire quello che volevo davvero fare nella vita: comprendere i cavalli per aiutarli ad essere compresi!
Fin da bambina ho sempre cercato di instaurare una relazione con i cavalli che andasse al di là dell’addestramento.
Ho iniziato con Jascha, provando tutte le soluzioni possibili affinché si affidasse a me.
Alla fine, il rapporto che abbiamo raggiunto ci ha regalato tante emozioni e soddisfazioni: con lei sono diventata istruttrice e ho calcato le più importanti arene equestri.
Nonostante quello che pensavano di noi la maggior parte degli istruttori.
“Una purosangue araba non è adatta a certe gare. Non vale la pena lavorarci” mi dicevano.
Per fortuna non li ho mai ascoltati e sono andata avanti per la mia strada.
E l’ho fatto con la stessa perseveranza che mi ha permesso di aprire il mio maneggio, Sherwood, luogo in cui è avvenuto il cambiamento…
In quel periodo lo sconforto era dietro l’angolo.
Ero arrivata al punto da pensare seriamente di prendere la decisione più brutta della mia vita: chiudere il maneggio.
Quando ci ripenso, ho i brividi.
Ma la vita è capace di sorprenderci in modo straordinario, proprio quando meno ce lo aspettiamo…
Quel sabato pomeriggio in cui ho conosciuto Federico ho capito subito che c’era qualcosa di speciale in lui.
Solitamente le persone che arrivano al maneggio per la prima volta mi chiedono subito “Posso montare il cavallo già oggi?”.
Federico non aveva cavalli, ma da come ne parlava, sembrava che ne capisse più di tante persone “esperte” che avevo incontrato fino a quel momento.
Le sue domande erano rivolte esclusivamente ai cavalli: mi chiedeva del loro carattere, del loro trascorso. Era particolarmente interessato ai cavalli problematici.
Era un tipo un po’ strano, devo ammetterlo, ma chiacchierare con lui, sentirlo parlare di cavalli in quel modo così consapevole e così simile al mio, mi diede una ventata di energia.
Chi l’avrebbe mai detto che quella chiacchierata sarebbe stata solo l’inizio di una grande, bellissima avventura.
Da quell’incontro è nato Equestri, il grande progetto a cui io e Federico stiamo dedicando le nostre energie per promuovere un’Equitazione Consapevole e Scientifica.
Abbiamo creato un luogo, non solo fisico ma anche virtuale, che unisce tutti i cavalieri che desiderano abbracciare i principi del vero Addestramento Consapevole.