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Stage Equestri

01 - 03 / 2022

Circolo Ippico Sherwood

I NOSTRI PRINCIPI

Codice Etico

LINEE GUIDA

Il cavallo deve sentirsi sicuro, connesso e compreso prima di poter apprendere. La qualità della relazione, basata su fiducia e connessione (nell’accezione della Teoria Polivagale), è più importante di qualsiasi tecnica o risultato. Senza una base emotiva stabile, l’addestramento diventa fine a se stesso e rischia di diventare solo sottomissione.

Questo principio ribalta la logica tradizionale: non si addestra per avere una relazione, ma si lavora dalla relazione. Il riferimento alla Teoria Polivagale sottolinea l’importanza della sicurezza e della connessione per permettere al cavallo di accedere agli stati fisiologici di apprendimento. Il principio afferma che ogni tecnica è sterile se non radicata in un legame emotivamente stabile.

La conoscenza teorica e scientifica è la base indispensabile del lavoro con il cavallo, ma non serve a nulla se corpo e intenzione comunicano tensione, incoerenza o aggressività. La teoria diventa davvero utile solo quando si trasforma in azioni concrete che il cavallo può percepire come chiare, sicure e gentili.

È fondamentale l’integrazione tra teoria e pratica, tra conoscenza e sensibilità, tra scienza ed empatia. Il sapere scientifico è una base necessaria, ma va incarnato nel corpo e nell’intenzione del professionista, affinché il cavallo possa sentirsi al sicuro nella relazione e la conoscenza scientifica non venga usata per facilitare la sua sottomissione.

Ogni esperienza incide profondamente sul sistema nervoso del cavallo, influenzando il modo in cui percepisce l’ambiente, le persone e il lavoro. Lavora per aumentare la sua resilienza emotiva. Tecniche che sacrificano l’equilibrio del sistema nervoso del cavallo per ottenere un comportamento (come stancarlo, indebolirlo o metterlo sotto pressione) non sono ritenute accettabili.

L’addestramento viene inteso come educazione del sistema nervoso, non come semplice condizionamento del comportamento. Il focus è sulla resilienza emotiva, rifiutando ogni metodo che sfrutti l’esaurimento o la paura promuovendo un approccio innovativo e in linea con le neuroscienze affettive.

Ogni cavallo ha un limite oltre il quale non può più gestire lo stress in modo sano. Superare questa soglia compromette il benessere e la capacità di apprendere. Il vero professionista sa leggere i segnali iniziali di stress e adatta il suo lavoro per aumentare in maniera controllata la soglia di tolleranza di ogni singolo soggetto. Il flooding, in qualunque forma, non è mai accettabile: forzare non educa, crea solo cavalli traumatizzati.

Valorizziamo la capacità del professionista di leggere precocemente i segnali di stress, rispettare i limiti individuali e agire in modo preventivo, non correttivo. È una posizione netta contro il flooding e l’utilizzando di pressioni troppo forti, affermando che forzare non è formare, ma traumatizzare.

Un cavallo che si difende sta comunicando un disagio, che sia di tipo fisico  o mentale. Tutti i comportamenti difensivi non devono essere visti come atti di ribellione, ma come richieste di aiuto. Il compito del professionista non è sopprimere queste reazioni, ma comprenderle, rimuovere la causa dello stress e guidare il cavallo verso i comportamenti cooperativi.

Questo principio trasforma il comportamento problematico in comunicazione di un disagio, fisico o emotivo. L’approccio parte dall’aspetto mentale del lavoro con il cavallo: si tratta di lavorare a monte, non sul sintomo. La risposta deve essere empatica e regolativa, non punitiva.

La cooperazione non si ottiene forzando una risposta, ma creando le condizioni perché il cavallo voglia partecipare. Significa favorire attenzione, decontrazione (non solo muscolare, ma soprattutto mentale ed emotiva) e una disponibilità autentica all’interazione e ad usare le proprie energie con e non contro la persona. Un cavallo realmente cooperativo non è sottomesso ma presente, calmo, curioso e connesso.

Si confonde troppo spesso la cooperazione con l’obbedienza: la cooperazione è un risultato che nasce dal benessere e dalla motivazione interna. Viene evidenziata la distinzione tra un cavallo semplicemente addestrato a rispondere e uno che sceglie di partecipare, con un’enfasi sulla presenza mentale, la curiosità e la connessione.

Anche il metodo più corretto sul piano teorico può diventare inadeguato o persino dannoso se applicato senza ascolto, senza sensibilità, senza sentire davvero il cavallo. Lavora con consapevolezza e responsabilità mettendo la gentilezza come filtro costante delle nostre azioni. Solo così la tecnica è a beneficio del cavallo e non dell’ego o degli automatismi di addestratori e istruttori.

La gentilezza diventa criterio di verifica continua. Non è un ornamento morale, ma un principio operativo. Si denuncia il rischio di nascondersi dietro la “correttezza scientifica”, o peggio dietro termini come “etologico” e “naturale”, e si invita alla consapevolezza etica di ogni gesto.

Nel lavoro con il cavallo e con le persone non ci può essere spazio per l’aggressività fisica, quella verbale e per atteggiamenti giudicanti o manipolatori. Questi comportamenti non sono espressione di autorevolezza ma indicatori di traumi personali che non possono essere portati nel proprio lavoro. La vera forza è nella calma, nell’ascolto e nella capacità di rimanere centrati.

Il rifiuto dell’aggressività come strumento relazionale è esteso anche alla comunicazione con le persone. Viene proposta una visione del professionista come figura centrata e regolata, capace di lavorare senza scaricare tensioni, giudizi o disconnessione emotiva.

Un cavallo che trova i suoi bisogni soddisfatti dalla gestione quotidiana è più equilibrato e collaborativo. Spazi adeguati, interazioni sociali, alimentazione corretta e libertà di movimento sono elementi che influenzano direttamente il suo stato mentale ed emotivo. Un cavallo privato di questi bisogni non può essere realmente in equilibrio.

Il cavallo non è solo un soggetto da “lavorare”, ma da gestire nella sua interezza psicofisica. Questo principio riconosce la continuità tra contesto di vita e prestazione, tra salute ambientale e disponibilità relazionale.

Non esiste una scadenza nell’addestramento. Forzare il cavallo e/o il suo cavaliere a raggiungere obiettivi in tempi ristretti porta solo a frustrazione, resistenze e regressioni. Il vero progresso si misura dal benessere e dalla disponibilità del cavallo, non dalla velocità con cui esegue un esercizio e dal raggiungimento di gratificazioni egoiche.

Contro la logica della prestazione a scadenza, si propone un’etica del tempo soggettivo, in cui il ritmo di crescita è determinato dal benessere, non dalle ambizioni umane. La progressione deve essere sostenibile per entrambi i membri del binomio.

L’adesione a questi principi fondamentali non è facoltativa ma rappresenta un criterio essenziale per il riconoscimento e il mantenimento della qualifica professionale. Le figure certificate sono tenute a rispettare tali linee guida sia nella pratica quotidiana con il cavallo, sia nella comunicazione, nell’insegnamento e nella trasmissione dei valori del percorso. Il mancato rispetto di questi principi comporta richiami e sanzioni disciplinari, fino alla possibile revoca del titolo e della certificazione, per garantire la coerenza e l’integrità delle figure professionali formate.

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